30 novembre, 2006

Alejandro Jodorowsky

La vita tra Atto poetico, Psicomagia e Panico.

Jodorowsky è sempre stato un poliedrico che, nel corso della sua vita, ha sperimentato un po' di tutto. Nato in Cile nel 1930, figlio di immigrati ucraini ebrei, parte nel 1953 alla volta di Parigi, città dove risiede tuttora. Già queste poche note biografiche indicano che la storia dell'autore è storia di un errare tra vari aspetti della vita, senza mai fossilizzarsi in un'unica attività o personaggio. La sua carriera artistica ha toccato vari campi: mimo, attore, regista cinematografico (El Topo (1971) e La Montagna Sacra (1973) sono i suoi capolavori), autore di teatro, poeta, romanziere e sceneggiatore di fumetti. In tutti i suoi lavori l'aspetto visionario ha sempre prevalso, sottolineando così la necessità di rompere le strade note e prosaiche.Uno degli aspetti più affascinanti di Jodorowsky riguarda la sua figura di psicoanalista sui generis. E difficile posizionarlo rispetto a una scuola o a una corrente di pensiero, e non a caso si definisce psicomago. In realtà egli ha elaborato un modo nuovo di entrare in contatto con l'inconscio. Il libro Psicomagia (Feltrinelli), permette di avvicinare l'idea di Jodorowsky riguardo al mondo della psicoterapia. Sotto forma di intervista, il libro ripercorre le tappe principali della vita dell'autore, sottolineando le esperienze, anche difficilmente credibili, che Jodorowsky ha vissuto, fino ad arrivare alla descrizione della sua terapia, definita panica.L'appellativo Panico è sempre stato presente nei suoi lavori: con Arrabal e Topor ha fondato il movimento Panico nel teatro. Panico per dire che l'ordine del nostro universo, in apparenza così prevedibile, può venire sgretolato. E Jodorowsky, con la sua vita e le sue opere, ha sempre ricercato l'atto che destrutturi lo stato delle cose scontate. L'abitudine, rassicurante condizione che ci permette di nascondere l'ineluttabile divenire del mondo, allora rimane spiazzata e intravediamo altre possibilità di esistenza. La grande scommessa riguarda il cambiamento: Jodorowsky scrive: la gente desidera smettere di soffrire, ma non è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare, a cessare di definirsi in funzione delle sua adorate sofferenze. La terapia panica vuole essere un modo, dirompente, per azzerare l'abitudine e aprire nuove porte verso una comprensione diversa dell'esistere. Perché essa funzioni, occorre crederci, e questo dogma è vero per ogni tipo di azione nel mondo.Da anni tiene a Parigi il Cabaret Mystique, uno spettacolo a metà tra il teatrale e la terapia di gruppo, uno show di terapie lampo in una sala in cui l'energia crea situazioni rare di phatos. Chi assiste ai suoi spettacoli può oscillare tra l'ammirazione e il dubbio, lo stupore e lo scetticismo, lo si può chiamare un ciarlatano trascendentale, comunque Jodorowsky è una di quelle persone che hanno la capacità, forse una dote naturale, di scavalcare direttamente tutto ciò che è scontato per arrivare dritti al cuore. Dolce, umile e gentile in privato, Jodorowsky quando sale sul palcoscenico può trasformarsi in un'opera barocca, profonda, eccessiva, sacra, sicuramente non banale. Già leggere il suo libro intervista psicomagia può dare un'idea di cosa vuol dire entrare in questo mondo. Accade, o perlomeno, mi è accaduto di provare le sensazioni che danno alcuni grandi libri: quando un romanzo ti prende e diventi tu stesso un personaggio che dialoga con gli altri personaggi del libro, o quando un libro ti mostra un'idea, magari semplice, ma per te nuova e ti sembra di aver trovato una chiave preziosa per aprire porte dimenticate. I grandi libri lasciano poi una scia che si prolunga anche quando la lettura è finita e, più o meno inconsciamente, porta delle piccole modifiche permanenti nella mente del lettore.Tra le varie situazioni del libro, due in particolare mi sono rimaste impresse e possono essere significative sia per sottolineare il modo di Jodorowsky di vedere la vita sia per dare un esempio di atto psicomagico.La prima riguarda un episodio di Jodorowsky da giovane quando, con un amico, decise che quel giorno avrebbe camminato in linea retta, senza mai deviare: "Se durante una passeggiata ci imbattevamo in un albero, invece di giragli intorno ci arrampicavamo in cima. O ancora: se il cammino veniva ostruito da una macchina posteggiata, ci salivamo sopra e camminavamo sul tetto..." Al di là del contenuto, divertente e magari anche un po' adolescenziale, il significato rimane impresso: la vita è un atto poetico. Poesia che si contrappone all'aspetto prosaico per svelare tutto ciò che l'abitudine ricopre. Dunque l'importante è mettere tra parentesi ogni aspetto della vita che noi diamo per consolidato e rimanere recettivi alla meraviglia, che comunque si manifesta nel momento stesso in cui ci sentiamo vivi.Inoltre è importante anche l'atto: ovvero un'azione concreta, che influisca sulla realtà, per non rimanere ancorati soltanto al pensiero astratto. Il vero intellettuale è dunque colui che mette in atto i pensieri.Jodorowsky mette però in guardia dalle facilonerie: l'atto poetico non è una semplice trasgressione magari narcisistica. E sempre un qualcosa che va preso con la massima serietà perché potrebbe diventare pericoloso, in quanto accarezza regioni nascoste di ciascuno di noi. L'atto poetico permette di manifestare energie normalmente represse o latenti in noi. L'atto non cosciente conduce al vandalismo, alla violenza. Per Jodorowsky l'atto poetico deve essere positivo, deve cercare sempre la costruzione in modo che possa espandersi la gioia di vivere.La seconda immagine che mi è rimasta impressa leggendo il libro riguarda un cosiddetto atto psicomagico. L'atto riguarda una donna che ha perso ogni voglia di vivere e che talvolta pensa al suicidio. La donna ha un chiaro ricordo del pessimo rapporto col padre, suicidatosi quando lei aveva dodici anni. L'atto prescritto da Jodorowsky può essere così riassunto: andare in una residenza per anziani, comprare una dozzina di belle arance, regalarle a dodici persone e parlare con ciascuna di esse per esattamente dodici minuti. La donna ha cercato di dare qualche interpretazione a priori dell'atto: dodici è il simbolo dell'impiccato nei tarocchi, le arance sono simbolo di fecondità, ma più dei simboli sottintesi, importante era l'atto in sè, da eseguire con la massima profondità.Il racconto è molto toccante: si sottolinea l'importanza di quei dodici minuti nelle singole conversazioni, quel tempo breve in cui tutto succede e ogni parola della conversazione diventa essenza. "...sentivo intorno a noi la forza di quell'amore che avvolge tutti gli esseri umani..." Eseguito questo atto, la prescrizione proseguiva come segue: siedi ai piedi del portale di una chiesa e mangia un'arancia lentamente, per dodici minuti.Tra i commenti della donna a conclusione dell'atto, mi sembra sufficiente ricordarne uno: mi stavo autorizzando a vivere.

Tullio Tommasi

Appunti di Viaggio: 29/11

Riscaldamento:
  • Salti / si prende la rincorsa e ci si lancia su una fila di persone (poste una di fronte all'altra con le mani pronte a non farlo cadere)
  • gambe parallele e allargate quando la lunghezza delle spalle, ingobbirsi formando un arco che stenda la spina dorsale con le braccia che si poggiano sulle ginocchia > Non c'è mai nel teatro surrealista una postura diretta

Nello spazio:

  • Quando si vuole guardare qualcosa o qualcuno prima guardare dalla parte opposta, per poi raggiungerla/o con lo sguardo
  • Muovendosi in sala, ogni volta che si deve cambiare direzione, formare un'onda e piegare lo spazio
  • Camminare, proporre un gesto ad un altro/a che darà il là per nuovo gesto a qualcun'altra/o

Improvvisazione:

  1. entro e prendo la sedia in scena
  2. la poggio a terra
  3. mi siedo
  4. saluto

mantenendo i movimenti suddetti nello spazio.

Prossimo appuntamento: il 6 dicembre ci vede per guardare un video.

25 novembre, 2006

Appunti di Viaggio: 25/11

Riscaldamento:

  • molleggiare sulle ginocchia; staccare i piedi, con i glutei stretti, dondolando; il dondolìo va portato in giro per la sala, in modo fluido (un'onda attraversa tutto il corpo) come se si scavasse nel suolo [sottofondo musicale: Ute Lemper];
  • ogni volta che ci si avvicina a qualcuno cercare un dondolìo comune; il tutto per sviluppare delle microdanze all'interno di una ragnatela di ascolti
  • Rotazione delle spalle mentre si cammina
  • Forzare una parte del corpo ad andare da una parte mentre un'altra decide di rimanere

Giochi:

  • A coppie SERVITORE e PADRONE, il servitore fa il contrario del padrone, che può ordinargli qualcosa che lui cerca di fare e che non farà mai
  • A terzetti quando uno è sdraiato, un altro in verticale, l'altro a mezza via - nessuno può stare nella stessa posizione

  • Si mima l'apertura di una porta; dopo averla aperta un bicchiere deve esser trasportato su una sedia con passo tacco-punta; si torna indietro, si battono le mani, entra il proverbio

Prossimo appuntamento: mercoledì 29/11

16 novembre, 2006

Appunti di Viaggio: 15/11

Riscaldamento:
  • libero nello spazio, sfegare le mani, muovere le dita dei piedi, ruotare le ginocchia, muovere cosce, poi di seguito, bacino, busto, spalle, collo e testa;
  • riprendere la camminata tacco, punta, sguardo, stupore;
  • gioco degli sfratti con camminata precedente

Assegnazione dei nomi glossolalici:

  • Domenico -- BRINCIO
  • Valentina -- FRUTTANA
  • Andrea Cr -- GIDDIGG
  • Laura -- GIENEV
  • Alessio -- SARGITTU
  • Alessandra -- GMAMNA
  • Mariarosa -- JUPIOO
  • Andrea -- TARALLERU
  • Gianluca -- DIDDIDDU
  • Carlotta -- PEPEINA
  • Isabella -- AGHECA
  • Elena -- CHITUONA
  • Ottavia -- SBRONFT
  • Doriana -- BACILLA
  • Graziella -- BA
  • Antonio -- IBIBU'

Improvvisazione:

  • partendo dal testo assegnato di Doppio Sogno entrata in scena, guardando il pubblico; in una prima zona impovvisare il testo con glossolailie, in una seconda zona mischiare linguaggio normale e glossolalie, in una terza zona interpretazione del testo normale;
  • variante: entrata a coppie
  • racconto col binomio fantastico (da spedire all'indirizzo antonio@ygramul.net)

Prossimo appuntamento col laboratorio: sabato 25 novembre ore 14:00-17:00

14 novembre, 2006

Appunti di Viaggio: 11/11

Riscaldamento: piedi paralleli, ginocchia piegate; un piede sulla punta e l'altro sul tallone e viceversa

Camminate:
  • un piede in punta, l'altro sul tallone; ogni passo sguardo a fotografare il pubblico sparso in tutto lo spazio (sia scenico sia tra gli spalti)
  • piegare il busto verso l'alto e tirare fuori le scapole
  • girare lo sguardo -chiudere gli occhi, girare la testa / riaprire gli occhi / stupore!!

Testo: da "Doppio Sogno" interpretare il testo con glossolalie (come fossimo bambini di 1 mese)

09 novembre, 2006

Post fazione a Doppio Sogno

di Giuseppe Farese

Non v'è dubbio che la tematica onirico–reale–surreale di Traumnovelle, scritta da Arthur Schnitzler fra il 1921 e il 1925 ma già abbozzata nel 1907, eserciti una singolare attrazione sul lettore e lo induca, quasi naturalmente, a guardare alla psicoanalisi come al più vicino, ineludibile modello del suggestivo racconto.
Ma ipotizzare una benché minima dipendenza di Schnitzler da Freud significherebbe non tanto mistificare la sostanza del rapporto che li apparentò, quanto travisare le reali intenzioni dell'autore di Traumnovelle. Sebbene infatti Schnitzler conoscesse la Traumdeutung e tenesse in gran conto gli scritti di Sigmund Freud, mantenne sempre una notevole distanza critica nei riguardi del suo geniale concittadino e delle teorie psicoanalitiche. Sintomatico è, ad esempio, che sia Freud - anche se solo nel 1922! - a uscire allo scoperto, confessando di avere fino allora evitato Schnitzler "per una specie di "timore del sosia"". Sicché di non poco interesse ci sembra quanto il più anziano neuropsicologo viennese afferma nell'ormai citatissima lettera a Schnitzler del 14 maggio 1922: " ... sempre, quando mi sono abbandonato alle Sue belle creazioni, ho creduto di trovare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei propri. Il Suo determinismo come il Suo scetticismo - che la gente chiama pessimismo -, la Sua penetrazione nelle verità dell'inconscio, nella natura istintiva dell'uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l'adesione dei Suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò mi ha commosso come qualcosa di incredibilmente familiare. (In una piccola opera del 1920, Al di là del principio del piacere, ho tentato di indicare nell'eros e nell'istinto di morte le forze primigenie il cui antagonismo domina ogni enigma della vita). Così ho avuto l'impressione che Ella sapesse per intuizione - ma in verità a causa di una raffinata autopercezione - tutto ciò che io con un lavoro faticoso ho scoperto negli altri uomini. Credo, anzi, che nel fondo del Suo essere Lei sia un ricercatore della psicologia del profondo, così onestamente imparziale e impavido come non ve ne sono stati mai".

Freud riconosceva quindi a Schnitzler grandi capacità di indagatore della psiche umana ma stabiliva al tempo stesso una netta e inequivocabile differenza fra "l'intuizione" o "raffinata autopercezione" dello scrittore e il "lavoro faticoso" dello scienziato. Ma cosa pensava Schnitzler di Freud e della psicoanalisi? Potrà forse essere illuminante un sia pur fuggevole accenno alle annotazioni in proposito contenute in una serie di fogli riuniti da Schnitzler sotto la parola chiave "Psicoanalisi " e conservati fra le carte postume nella biblioteca dell'Università di Cambridge.

"Non è nuova la psicoanalisi, ma Freud. Così come non era nuova l'America, ma Colombo", scriverà Schnitzler nel 1924; e il 9 marzo 1915, nel diario: "Non accordo all'inconscio una eccessiva autorità - gli interpreti, in particolare gli psicoanalisti svoltano troppo sollecitamente in questa strada". Ma altri e ancor più risoluti giudizi si aggiungono e tali da poter incrinare la validità di capisaldi freudiani come il complesso di Edipo, il complesso di castrazione e persino l'interpretazione dei sogni. A questo proposito Schnitzler non solo ritiene "spesso arbitraria" la simbologia onirica, così minuziosamente codificata da Freud, ma sostiene: "Solo quei fenomeni che sono passati nella nostra coscienza sono utilizzabili per l'interpretazione dei sogni". Sorprendente è poi l'accentuazione operata da Schnitzler di una zona della sfera psichica secondo lui trascurata dagli psicoanalisti: il medioconscio o semiconscio, come dirà in altra occasione. "[La psicoanalisi] parla di conscio e inconscio, ma tralascia troppo il medioconscio ... Il medioconscio ... costituisce il campo più vasto della vita psichica e spirituale; da lì gli elementi salgono ininterrottamente verso il conscio o precipitano nell'inconscio ... La rimozione avviene molto più spesso in direzione del medioconscio che dell'inconscio" Tanto più chiaro e funzionale alla nostra lettura di Traumnovelle ci apparirà questo concetto, quando si pensi che Schnitzler ne teorizzava l'applicazione pratica in una serie di appunti sulla Letteratura psicologica pubblicati anch'essi postumi: "Si scopre poi - e questa era forse la cosa più importante - una specie di territorio intermedio fluttuante fra conscio e inconscio. La soglia dell'inconscio non è così vicina come si crede, o talvolta si finge per comodità di credere (un errore non sempre evitato dagli psicoanalisti). Tracciare quanto più decisamente è possibile i limiti fra conscio, semiconscio e inconscio, in ciò consisterà soprattutto l'arte del poeta". Freud, dal canto suo, relega nel Post Scriptum di una sua breve lettera del 24 maggio 1926 una osservazione quanto mai concisa e sibillina sulla novella di Schnitzler: "Ho riflettuto alquanto sulla Sua Traumnovelle".4 Quale significato attribuire alla palese rinuncia di Freud a occuparsi di una novella la cui tematica sembrava, più apertamente delle altre, accostarsi ai parametri psicoanalitici? Ritorno del "timore del sosia"? o convinzione definitiva - dopo la lettura, appunto, di Traumnovelle - dell'effettiva distanza che correva fra la sua psicoanalisi e la capacità di lettura psicologica dello scrittore da lui stesso definito, e a ragione, "ein psychologischer Tiefenforscher"?

Ma veniamo alla tematica e alla struttura compositiva della novella, che si articola in, sette parti e scandisce le alterne e tormentate fasi della crisi di una coppia, emblematica, come sempre in Schnitzler, della crisi e dello sgomento dell'individuo di fronte alla enigmatica e instabile realtà dell'esistenza.

Non è certo la prima volta che l'attenzione dello Schnitzler narratore si concentra sul problema del matrimonio, o meglio sulla situazione di incomunicabilità che, innescata da un qualsiasi motivo occasionale e imponderabile, viene improvvisamente a turbare l'equilibrio del rapporto uomo - donna. Mentre però, per fare solo qualche esempio, in Die Frau des Weisen [La moglie del saggio, 1896], Die Toten schweigen [I morti tacciono, 1897], Die Fremde [L'estranea, 1902], Die Hirtenflöte [II flauto pastorale, 1909], Schnitzler tendeva a evidenziare la conflittualità di uno solo dei due partners, in Traumnovelle la crisi dei protagonisti si struttura secondo un diagramma di turbamenti paralleli, tanto perfetto da giustificare pienamente il titolo di Doppelnovelle [Doppia novella] che, ancora nel 1924, l'autore voleva dare al racconto.

La caratteristica immediatezza schnitzleriana nel presentare con pochi tratti essenziali situazioni e personaggi tocca ancora una volta in Traumnovelle il culmine della maestria narrativa. La bambina sorpresa dal sonno mentre legge una fiaba, il tenero sorriso dei genitori, l'ingresso della governante che accompagna a letto la piccola, Fridolin e Albertine, finalmente soli, sotto il caldo chiarore della lampada: una tranquilla famiglia borghese della Vienna di Schnitzler. Ma la facciata inganna, la realtà è un paravento illusorio e nasconde un groviglio di dubbi, di angosce, di aggressività, di desideri repressi che, una volta liberati, coinvolgeranno i personaggi in una ridda di avventure reali, fantastiche e sognate, costringendoli a percorrere le stazioni della loro crisi alla ricerca affannosa di una verità che non esiste se non nel tentativo, precario ma forse il solo valido al momento, della reciproca comprensione.

La trama di quella che si potrebbe definire una "commedia dei disinganni e dei desideri insoddisfatti" - nessuna delle avventure erotico-surreali di Fridolin giungerà a compimento, l'orgia di piacere e di libidine incontrollata di Albertine è solo un sogno! - si dipana lungo il filo dell'alienazione, della vicendevole estraniazione dei due personaggi principali. Il simbolo di tale alienazione è la maschera e il mistero che ad essa si accompagna; non a caso la novella si apre col racconto delle vicende del veglione mascherato della sera precedente. Ma anche lo strano intermezzo presso il mascheraio Gibiser, la partecipazione notturna di Fridolin al singolare ballo in maschera nel club segreto e l'assenza, comunque, di volti che contraddistingue l'episodio, concluso con quell'allucinante confronto con il corpo della morta nella sala anatomica, sono il segno della perdita d'identità che connota la crisi dei protagonisti.

Traumnovelle è dunque la storia del progressivo allontanarsi affettivo di Fridolin e Albertine e del loro progressivo ricongiungersi; la loro condizione psicologica fa pensare a "quella specie di territorio intermedio fluttuante fra conscio e inconscio", che Schnitzler definiva "Mittelbewusstsein" o "Halbbewusstsein" e che permette di inquadrare in una nuova luce il trauma interiore dei due personaggi, l'angoscioso ondeggiare della loro comprensione-incomprensione. Se è vero infatti che "Il medioconscio costituisce il campo più vasto della vita psichica e spirituale; da lì gli elementi salgono ininterrottamente verso il conscio o precipitano nell'inconscio", allora anche la ritrovata intesa finale di Fridolin e Albertine dopo la turbinosa notte dei desideri inappagati, acquista il valore di una "ascesa al conscio" che, senza fornire certezze, può tuttavia giustificare quel "rischio" di una soluzione positiva già ipotizzata da Rey alcuni anni orsono: ""Che dobbiamo fare, Albertine?". Lei sorrise, e dopo una breve esitazione rispose: "Ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure... da quelle vere e da quelle sognate". "Ne sei proprio sicura?" chiese Fridolin. "Tanto sicura da presentire che la realtà di una notte, e anzi neppure quella di un'intera vita umana, non significano, al tempo stesso, anche la loro più profonda verità". "E nessun sogno" disse egli con un leggero sospiro "è interamente sogno". Albertine prese la testa del marito fra le mani e l'attirò affettuosamente a sé. "Ma ora ci siamo svegliati..." disse "per lungo tempo". Per sempre, voleva aggiungere Fridolin, ma prima ancora che pronunciasse quelle parole, lei gli pose un dito sulle labbra e sussurrò come fra sé: "Non si può ipotecare il futuro" ".

L'accenno finale di Albertine al "destino" richiama il colloquio iniziale col marito che è il primo momento di dubbio e di incertezza reciproci e prelude al successivo sbandamento affettivo. Si può dire che in questo primo colloquio fra i due coniugi, ancora protetti dalla sicurezza della ovattata atmosfera familiare, Schnitzler fissi e sintetizzi la tematica della novella e ne preannunci lo sviluppo: "Tuttavia dalla leggera conversazione sulle futili avventure della notte scorsa finirono col passare a un discorso più serio su quei desideri nascosti, appena presentiti, che possono originare torbidi e pericolosi vortici anche nell'anima più limpida e pura, e parlarono di quelle regioni segrete che ora li attraevano appena, ma verso cui avrebbe potuto una volta o l'altra spingerli, anche se solo in sogno, l'inafferrabile vento del destino". Si delinea così subito la possibilità di utilizzare il sogno come "regione" dell'anima in cui è possibile la realizzazione di desideri repressi; e sarà proprio Albertine a intraprendere una specie di viaggio liberatorio negli abissi della coscienza. Ma il suo sogno non ha tanto il carattere di Wunschtraum - significativamente per Freud la meno problematica delle categorie di sogni, che egli attribuiva prevalentemente ai bambini - quanto quello di azione onirica speculare rispetto, alle fantastiche avventure notturne di Fridolin. Il sogno di Albertine non ha un contenuto latente e noti ha bisogno di decodificazione. Il materiale onirico è costituito sì da "resti diurni", nella fattispecie elementi della conversazione serale - ricompaiono gli schiavi mori della fiaba, il giovane danese che aveva ammaliato Albertine durante una vacanza in Danimarca, la stupenda fanciulla che aveva avvinto Fridolin nella stessa occasione -, ma l'azione è assolutamente parallela all'avventura reale del marito, con la sola, sostanziale, differenza del capovolgimento della situazione conclusiva. Mentre Fridolin non riuscirà a possedere la bella sconosciuta del circolo segreto in cui s'era introdotto senza invito e, scoperto, scamperà a una dura punizione e forse alla morte, solo perché la donna si sacrifica per lui, Albertine si concederà invece al giovane danese e assisterà poi, ridendo, alla crocifissione di Fridolin che accetta il sacrificio pur di restarle fedele.

La risata sinistra e isterica al contempo con la quale Albertine esce dal sogno e l'orrore di Fridolin di fronte al volto, a lui estraneo, della moglie che lo fissa terrorizzata, segnano il culmine della loro alienazione. Così come la fine del racconto del sogno da parte di Albertine costituisce, ad onta delle apparenze, il primo momento del loro successivo ricongiungersi: "[Fridolin] si stese vicino ad Albertine che sembrò già essersi assopita. Una spada tra noi, pensò di nuovo. E poi: sdraiati fianco a fianco come nemici mortali. Ma erano solo parole". Il sogno ha assorbito tutti gli impulsi aggressivi di Albertine ed ha avuto anche una funzione doppiamente catartica: soggettivamente, Albertine si è scaricata del suo odio nella misura in cui ha potuto vendicarsi del l'incomprensione del marito; oggettivamente, trovando la forza di raccontare la sua vendetta, ha costretto Fridolin, sgomento per l'infedeltà sognata della moglie e sbigottito per la straordinaria e singolare coincidenza di fantasmi onirici e realtà vissuta, a riflettere - anche se inconsciamente - sulla sua stessa infedeltà, che solo per uno strano e inspiegabile gioco del "destino" non si è mai tradotta in realtà. È da questo momento quindi che Fridolin ricomincerà a rientrare a poco a poco nella normale sfera della sua esistenza, così inconsapevolmente come se n'era allontanato. Se infatti l'esperienza onirica catalizza, per così dire, la crisi di Albertine avviandola a una prevedibile soluzione, più lungo, complesso e travagliato è l'itinerario dello smarrimento esistenziale di Fridolin. La debolezza che è alla base del suo carattere lo espone più facilmente della moglie agli allettamenti e alle lusinghe della realtà circostante e ne renderà più sofferto il ravvedimento. L'attenzione con cui Schnitzler svolge la vicenda interiore di questo personaggio "senza qualità" e ne intuisce e registra le trasformazioni psicologiche è ancora una volta esemplare della straordinaria capacità narrativa dello scrittore austriaco.

La dicotomia fedeltà-tradimento che costituisce, come s'è visto, l’asse portante della novella si esplicita più emblematicamente nell'analisi della contraddittorietà del personaggio maschile. La problematicità di Fridolin è già tutta nella risposta che dà alla moglie dopo la reciproca confessione dei "pericoli" cui sono sfuggiti durante la vacanza estiva in Danimarca: "in ogni donna che credevo di amare ho sempre cercato te", e soprattutto, nella sua reazione alla replica di Albertine: "E se anch'io avessi avuto voglia di cercarti prima in altri uomini?" ... "Fridolin abbandonò le sue mani quasi l'avesse sorpresa mentre diceva una menzogna o lo tradiva". Al fondo della debolezza e dell'indecisione di Fridolin c'è dunque l'assurdo pregiudizio borghese che concede agli uomini il diritto a una morale e relega la donna in una degradante posizione subalterna.

Diviso fra l'accettazione della morale convenzionale e l'amore per Albertine, incapace di risolvere razionalmente la contraddizione, Fridolin s'abbandona all'evasione, che si rivela però tanto più inutile e logorante, quanto più il desiderio di vendicarsi della moglie si scontra con l'incapacità di liberarsi della sua "presenza".

La freddezza e la sicurezza del medico, che dimentica come d'incanto il tormentato colloquio con la moglie ed esce a sera tarda per visitare un ammalato grave, è apparente, così come ingannevole e artificiosa è la vicinanza della primavera che viene ad un tratto a interrompere il freddo della bianca notte invernale: "In strada dovette aprire la pelliccia. Era cominciato improvvisamente il disgelo, la neve sul marciapiede si era quasi sciolta e spirava un venticello che annunziava la primavera". Lontano da Albertine, Fridolin è dunque completamentee solo e indifeso e presto sarà in balìa dei fantasmi e delle suggestioni della seducente notte viennese. Il progressivo distaccarsi dalla quotidianità del suo viver borghese e la proiezione, inconscia, del proprio stato d'animo sul mondo esterno mentre gli fa apparire ogni cosa avvolta in un'atmosfera spettrale, sembra tuttavia liberarlo da qualsiasi responsabilità: "A un tratto, superata ormai la sua meta, si trovò in una stradina in cui si aggiravano solo alcune squallide prostitute a caccia notturna di uomini. Che atmosfera spettrale, pensò. Anche gli studenti dai berretti blu divennero improvvisamente spettrali nel ricordo, così pure Marianne, il fidanzato, lo zio e la zia, che ora immaginò tenersi per mano attorno al letto di morte del vecchio consigliere; anche Albertine, che gli apparve immersa in un sonno profondo, le mani incrociate dietro la nuca - persino la bambina, che a quell'ora dormiva raggomitolata nel lettino bianco, e la governante dalle guance rubiconde con la voglia sulla tempia sinistra – tutti si erano trasformati ai suoi occhi in figure assolutamente spettrali. E sebbene quella sensazione lo facesse un po' inorridire, gli trasmetteva però, allo stesso tempo, una certa calma che sembrava liberarlo da ogni responsabilità, e addirittura svincolarlo da ogni rapporto umano ". Ma anche questo senso di liberazione è illusorio poiché è solo espressione dell'intenso desiderio di Fridolin di uscire dalla contraddizione che inconsciamente e intensamente lo opprime e ne fiacca la volontà allentando i suoi freni inibitori. Il monaco che si aggira impaurito ed eccitato fra le figure reali–surreali senza volto delle splendide donne nude e dei cavalieri in costumi variopinti, è ormai un ridicolo e grottesco burattino, destinato ad essere messo alla porta dalle braccia robuste di due misteriosi servitori. Il vanificarsi della cognizione del tempo e il cupio dissolvi che ne segue scandiscono con spietata crudezza lo smarrimento del, personaggio: "L'orologio della torre del municipio scoccò le sette e mezzo. D'altronde non importava che ora fosse; il tempo gli era completamente indifferente. Non provava interesse per nulla e per nessuno. Sentì una leggera compassione per se stesso. Molto fuggevolmente, non proprio come un proposito, gli venne l'idea di recarsi a una qualsiasi stazione, partire, non importava per dove, sparire per tutti coloro che lo avevano conosciuto, ricomparire in qualche luogo all'estero e incominciare una nuova vita, sotto spoglie diverse". Il calvario di Fridolin - e come non ricordare la sua crocifissione nel sogno di Albertine? - è lungo, e si concluderà soltanto con la presa di coscienza della contraddizione che ha segnato le sue avventure notturne alla ricerca di una qualsiasi violazione della fedeltà coniugale che potesse significare allo stesso tempo vendetta immediata e distacco da colei che aveva osato tradirlo, anche se solo nelle intenzioni! Ma l'immagine di Albertine, apparentemente rimossa, non lo ha abbandonato in nessun momento della sua disperata, quanto assurda corsa verso l'evasione erotica, e Fridolin se ne avvede proprio quando, nel tentativo di dare un senso alla sua umiliante notte di frustrazioni, vuole ad ogni costo svelare il mistero della bellissima suicida che si è sacrificata per lui: "che cercava [nella camera mortuaria]? Conosceva solo il suo corpo, il viso non l'aveva mai visto, ne aveva avuto solo un'immagine fugace la notte scorsa nell'attimo in cui aveva lasciato la sala da ballo o, per meglio dire, quando ne era stato cacciato. Eppure il non avere fino allora considerato quella circostanza derivava dal fatto che per tutto il tempo trascorso dal momento in cui aveva letto quella notizia sul giornale si era rappresentata la suicida, il cui volto gli era sconosciuto, con i lineamenti di Albertine e che, come si accorse solo ora rabbrividendo, aveva continuamente avuto davanti agli occhi l'immagine della moglie, identificandola con colei che cercava".

La conclusiva discesa agli inferi di Fridolin, il suo passare incerto fra i cadaveri allineati sui tavoli di marmo alla luce delle fiammelle a gas nell'agghiacciante squallore della sala anatomica, non ha più quindi che un valore esorcizzante: a chiunque appartenga quel corpo enigmatico di donna che lo ha magicamente attratto, esso non rappresenta ormai altro che " il cadavere pallido della notte passata, destinato irrevocabilmente alla decomposizione".

Ma le frenetiche e sconvolgenti avventure notturne hanno lasciato il segno; il personaggio che rientra a casa nel pieno della notte ha perduto anche quell'apparente sicurezza che aveva ostentato solo poche ore prima. La vista della mascherina che ha portato durante la festa nella misteriosa villa e che, trovata da Albertine, è stata da lei, significativamente, posta sul cuscino del marito, è sufficiente a provocare il crollo di Fridolin. I singhiozzi che lo scuotono sono tuttavia, questa volta, solo il segno di una débâcle fisica: caduta la maschera, dietro cui aveva creduto di poter celare le sue contraddizioni, riaffiora in lui la coscienza del suo reale rapporto con Albertine. È possibile allora una ripresa. della vita in comune sulla base della reciproca comprensione, al riparo dalle oscure forze dell'istinto e del destino? "Non si può ipotecare il futuro"

Il determinismo e lo scetticismo, che Freud giustamente vedeva in Schnitzler, lo hanno ancora una volta orientato nella Traumnovelle, che non segna pertanto alcuna svolta nella sua poetica "esistenziale" - e l'amara, tragica tematica di opere contemporanee o posteriori come Spiel im Morgengrauen [Gioco all'alba, 1926], o Therese. Chronik eines Frauenlebens [Teresa. Cronaca di una vita di donna, 1927] ampiamente lo confermano -, anche se il "vittorioso raggio di luce " che annuncia il nuovo giorno e il " chiaro riso di bambina dalla stanza accanto", sembrano aprire per un attimo alla speranza il cronista disincantato di un mondo in declino, un mondo sul quale "non veglia più alcun Dio" come dirà Heinrich Mann nel suo discorso commemorativo per la morte di Schnitzler nel 1931.

Appunti di Viaggio: 8/11

Riscaldamento:
// rotazione dei polsi
// percussioni sul nostro corpo

Camminate:
// ascoltare di come il piede si poggia al terreno; le mani si muovono nello spazio, non cercando di toccare qualcosa o qualcuno ma delineandone i contorni
// variante - a coppie; si parte frontali, si fanno tre passi verso il compagno/a e poi a occhi chiusi si delineano i contorni dell'altra/o.

Testi:
Arthur Schitzler "Doppio Sogno" (presto nella sezione documenti)

Video:
"Guida galattica per autostoppisti" di Garth Jennings / per saperne di più clicca qui

Prossimo appuntamento:
sabato 11 novembre 14:00 - 17:00

05 novembre, 2006

Invito a Teatro


Allora ragazzi,
martedì 7 Novembre, per le 10:30, giocherò nello spettacolo "Le figurine mancanti del 1978".
Lo spettacolo fa parte della rassegna Ubusettete 2006 ergo si terrà al Rialto SantAmbrogio _ via Sant'Ambrogio 4.
Il biglietto costa 8 euro ma si potranno vedere anche i due spettacoli precedenti...le danze infatti iniziano per le nove.
Se avete la possibilità, mi farebbe piacere vedervi...altrimenti,diffondete il verbo ;)
Vins

04 novembre, 2006

una PataRisposta

Prossimo appuntamento mercoledì prossimo ovvero 8 novembre 2006...

una PataDomanda



Patafisici di San Basilio, a me le orecchie !

Quand'è il prossimo incontro ?

Please, rispondete numerosi !

Vins

02 novembre, 2006

Jacques Vaché

Questo misterioso ed altrettanto mitizzato dandy è stato possibile conoscerlo solamente grazie alla sua amicizia con André Breton, poeta e vate del movimento surrealista, col quale intratteneva una fitta corrispondenza, raccolta poi da Breton in un volume pubblicato col titolo di "Lettere di guerra"; infatti Breton conobbe Vaché proprio in guerra, quando, prestando servizio come medico nell'ospedale di Nantes, conobbe l'elegante paziente, ferito ad un polpaccio. Là, il dandy-ufficiale dell'esercito (sarà vero?) esprimeva le sue teorie sull'arte (lui stesso era eccellente disegnatore), sulla letteratura, sul teatro, sulla poesia; opinioni, queste, che lasciarono un profondo segno in André Breton, il quale in seguito giudicherà l'amico un dadaista, nonostante Vaché non venne mai a conoscenza del nuovo movimento artistico e culturale che di lì a poco sarebbe sorto a Zurigo graziea a Tristan Tzara ed Hugo Ball. Vaché fu promosso maestro nell'arte "di attribuire pochissima importanza a tutte le cose".
Difficile riportare qui tutti i pensieri e le opinioni di Vaché, autentico dandy novecentesco; ci basti solo sapere che nei giorni liberi dal servizio militare, e in piena guerra, andava in giro per le città con una divisa buona per entrambi i fronti, giacchè da un lato era uniforme francese, dall'altro tedesca, anche se, racconta Breton, era difficile notare la differenza a causa dei numerosissimi ninnoli e medaglie che lo ricoprivano, e certamente l'occhio sarebbe pure caduto sul provocante monocolo che Jacques esibiva con tanta impertinenza, così come le raffinate cravatte di seta che si ostinava a portare, andando contro il regolamento militare. Pure, Breton racconta che spesso era possibile vederlo in uniforme medica, e, se fermato da qualche altro militare, dava credenziali false a suo piacere, o, se gli veniva chiesto di presentare chi lo accompagnava, lui lo presentava con un nome completamente inventato. Esplicita Breton: "Il rifiuto di partecipare è quanto più possibile completo, sotto la maschera di un'accettazione formale, spinta quasi all'estremo: tutti i 'segni esteriori del rispetto', di una adesione in qualche modo automatica proprio a ciò che l'intelletto trova più insensato. Con Jacques Vaché non s'ode più un grido, nè un sospiro: i 'doveri' dell'uomo, e tra tutti quello 'patriottico' che a quei tempi esagitati ne costituiva l'espressione più tipica, sfidando anche l'obiezione, che ai suoi occhi appare ancora troppo accomodante. Per trovare la volontà e la forza di opporsi, bisognerebbe essere ancora meno definitivamente fuori dalla mischia. Alla diserzione all'estero in tempo di guerra [...] Vaché contrappone un'altra forma di disobbedienza, che si potrebbe chiamare la diserzione all'interno di se stessi. Non si tratta più del disfattismo alla Rimbaud del 1870-71, ma è un partito preso di indifferenza totale, preoccupato solo di non servire a nulla, di disservire con zelo. Atteggiamento individualista ad oltranza".
La vita sregolata del dandy ebbe fine nel 1918: egli disse una volta a Breton che la guerra era l'unica cosa eccitante mai capitatagli, e che, finita questa, la vita sarebbe tornata ad essere noiosa; evitò questo spiacevole inconveniente in seguito all'assunzione d'una forte dose d'oppio, sostanza da cui era dipendente da tempo, assieme ad un suo amico militare, non avvezzo alla droga; la loro morte fece nascere molti sospetti, se si ricorda una frase di Vaché: "Morirò quando io vorrò morire... Ma allora morirò con qualcun altro. Morire soli è troppo noioso... Preferibilmente con uno dei miei migliori amici"; a questo punto è facile valutare se sia il caso di considerare accidentale la morte del dandy, soprattutto se pensiamo che non è morto solo: un altro cadavere, nello stesso letto di un albergo a Nantes, giaceva accanto a lui: era l'amico Paul Bonnet. Vaché ha voluto lasciarci un'ultimo, provocatorio, stupefacente, attestato di supremo dandismo, anche dopo la sua morte; "Ammettere che questa duplice morte sia stata il risultato di un progetto sinistro, significa rendere terribilmente eresponsabile una memoria" dice Marc-Adolphe Guégan in "La ligne du coeur". Provocare la denuncia di questa 'terribile responsabilità' fu, non vi è dubbio, la suprema ambizione di Jacques Vaché.

Appunti di Viaggio: 28/10

Rilassamento: a terra sdraiati contatto col terreno (musica John Zorn e Masada)
Camminata: nello spazio-zattera muoversi senza scontrarsi (musica Miles Davis)
Testo: Jacques Vaché - Il Soldato Armato dell'Humour